Filosofo tedesco. Studiò Filosofia e Germanistica a Berlino e a Friburgo,
conseguendo la laurea nel 1921. Allievo di Heidegger, ne subì
profondamente l'influsso, come appare evidente nell'opera
L'ontologia di
Hegel e la fondazione di una teoria della storicità (1932).
Determinanti per la formazione di
M. furono, inoltre, Hegel, Marx, del
quale rivalutò gli scritti giovanili, Freud, Horkheimer e Adorno, con i
quali entrò in contatto all'Istituto per le Ricerche Sociali di
Francoforte. All'avvento del Nazismo, essendo ebreo,
M. decise di
abbandonare la Germania; soggiornò dapprima a Ginevra (1933),
trasferendosi in seguito negli Stati Uniti, dove entrò a far parte
dell'Institute of Social Research della Columbia University. Durante la seconda
guerra mondiale lavorò al Dipartimento di Stato, conducendo delle
ricerche sulla Germania e sui Paesi dell'Europa centrale, insegnando
contemporaneamente presso l'American University di Washington. Nuovamente alla
Colombia University (1951-52), quindi al Russian Research Center
dell'università di Harvard (1953-54), nel 1954 assunse la cattedra di
Sociologia alla facoltà di Scienze politiche della Brandeis University di
Waltham (Massachusetts), dalla quale fu espulso nel 1964 per ragioni politiche.
Entrato all'università di San Diego (California), nel 1969 ne fu
allontanato, continuando tuttavia a svolgere la propria attività negli
Stati Uniti. Figura tra le più rappresentative della filosofia e del
pensiero sociale del XX sec.,
M. rivolse severe critiche alla
società industriale avanzata, di cui pose in evidenza la tendenza a
negare e a riassorbire al proprio interno qualsiasi opposizione. Tipico di
M. è il tentativo di combinare, in un'analisi critica della
società contemporanea, alcuni aspetti della teoria freudiana con la
teoria marxista della storia. Lo sviluppo del tentativo di reinterpretazione, in
chiave filosofica e sociologica, della teoria freudiana alla luce del Marxismo,
è riscontrabile in
Eros e Civiltà (1955). Questo saggio,
sui rapporti intercorrenti fra nevrosi e civiltà, è volutamente
orientato in senso filosofico e non in senso psicologico, accantonando ogni
aspetto psicoterapeutico, per far emergere le implicazioni sociologiche della
questione.
M. parte infatti dalla tesi freudiana secondo cui la
società evolve e matura a scapito degli istinti, dal momento che
l'organizzazione sociale, per esistere, deve asservire l'individuo e negarne gli
impulsi; il prezzo della civiltà è dunque la repressione della
libido e il suo disagio la nevrosi. La società accresce la sicurezza
materiale, la produttività e l'ordine, ma impedisce al singolo la piena
esplicazione delle tendenze erotiche e ne incanala gli istinti distruttori,
sottraendogli, in definitiva, anche la libertà. La civiltà
è quindi repressiva, ma la repressione viene presentata come necessaria,
in quanto, mediante il meccanismo del Super-Io, viene spacciata come "naturale"
oppure "tecnica".
M. tuttavia propone un'interpretazione di Freud come
critico pessimista non della civiltà in sé, ma della
civiltà borghese, perché costruita appunto sulla base di una
repressione dell'istintualità e quindi inevitabilmente fondata sulla
nevrosi. Di qui l'esigenza della lotta per la liberazione
dell'istintualità repressa e la conseguente necessità,
antiborghese e rivoluzionaria, di rovesciare quei modelli logici che della
repressione sono la struttura portante. La critica alla civiltà
repressiva e alla società moderna in genere si fa ancora più
specifica nell'
Uomo a una dimensione (1964). L'uomo "unidimensionale"
è colui che non è in grado di trascendere la realtà data,
di prospettare un modo di vita alternativo e diverso da quello offertogli dalla
società in cui vive, che è unidimensionale in quanto in essa la
possibilità che la critica possa condurre a una prassi politica
sovvertitrice o alternativa rispetto al sistema precostituito si presenta molto
scarsa, mentre la capacità di assorbire i conflitti di classe e le
contraddizioni interne al capitalismo appare sempre più elevata. Pertanto
quella di un circolo vizioso sembra essere l'immagine più adeguata per
una società che si va espandendo e perpetuando nella direzione che essa
stessa ha stabilito, spinta dai crescenti bisogni che genera e che,
contemporaneamente, mira a contenere. Secondo
M., quindi, la
"società industriale avanzata" si presenta come il compimento storico del
dominio dell'uomo sull'uomo, a partire da un rapporto di dominio dell'uomo sulla
natura. La lotta di classe, nella fase finora sperimentata dal movimento
operaio, rimane all'interno del sistema, attestandosi su contraddizioni
perfettamente controllabili e assorbibili, anzi, tendenti a scomparire nella
società industriale avanzata. Ciò che invece non scompare è
la contraddizione insita nel rapporto oppressivo uomo-natura, soggetto-oggetto,
che sta alla radice della civiltà contemporanea e ha dato origine allo
sviluppo di un rapporto oppressivo anche tra gli uomini. In conseguenza dei
mutamenti strutturali avvenuti nella società capitalistica, le
acquisizioni teoriche del Marxismo devono essere rivedute, per arrivare
all'elaborazione di un nuovo modello di "ragione" dal quale traggano origine
modelli di valore e progetti sociali eversivi, partendo dal "principio di
felicità", opposto al "dominante principio di realtà costituita".
Nei suoi ultimi lavori, anche alla luce di quanto avvenuto negli anni Sessanta e
Settanta che segnarono l'esplosione della contestazione giovanile, la rivolta
dei negri dei ghetti e la nascita di una "nuova sinistra" statunitense,
M., che nel
Marxismo sovietico (1958) aveva avanzato la tesi della
tendenziale unità della "società industriale avanzata" e quindi
della convergenza della società capitalistica e della società
socialista sovietica, indicò la possibilità di una rottura del
circolo vizioso. Egli fu il solo pensatore contemporaneo che, dopo aver tentato
di definire i contorni di una società "al di là del principio
della realtà", ossia senza classi e autorità, composta di uomini
liberi e uguali come voleva Marx, si propose di giungere a formulazioni
più precise e verificabili nell'ambito di una tale ipotetica
società (
La fine dell'utopia, 1967). Assai vasta è la
produzione saggistica di
M. della quale, oltre alle opere fondamentali
già citate, ricordiamo:
L'autorità e la famiglia (1936),
Ragione e rivoluzione (1941),
Psicoanalisi e politica (1957),
Controrivoluzione e rivolta (1972) (Berlino 1899 - Starnberg, Baviera
1979).